LA GUERRA DI HEMINGWAY

Memoria

Il ricordo dei reduci fu la prima memoria della Grande Guerra. Una memoria viva fin quando vissero. Nel tempo diventò commemorazione, dapprima sentita e poi rituale. Nel Nord-Est non si arrivò mai all’abbandono del ricordo, come accadde invece ovunque per le guerre risorgimentali. Non c’è traccia di essa nel resto d’Italia se non nei monumenti ai caduti. Qui invece, non mancano i riferimenti della memoria per quella che è considerata la nostra guerra. Nel Triveneto non esiste agricoltore che non abbia levato il ferro dalla sua terra, non esiste casa che non abbia qualche ricordo sopra un mobile, o una famiglia senza una propria storia da raccontare. Dalla cartuccia trovata nell’orto, al fosso che fu una trincea, al capitello in fondo alla strada che divenne caposaldo; tutto resta nella memoria della famiglia, del paese.

Il profumo di questa nostra storia si può sentire passando per i paesi, da una strada all’altra, di bocca in bocca. È un sentire radicato e diffuso, quasi un’atmosfera. É una ricchezza sconosciuta, il cui valore è legato alla capacità di utilizzarla per far rivivere la memoria.

Il ricordo rimane finché esiste chi ne ha provata l’emozione dell’esperienza, come ad esempio i reduci. Un evento, per essere ancora condiviso nella memoria, deve essere rivissuto. La Storia si può leggere sui libri ed imparare in modo asettico, oppure si può farne esperienza, vivere un’emozione che diventa ricordo vivo perché se ne è diventati reduci; quindi, per fare in modo che la memoria collettiva resista, bisogna che un’esperienza, con le relative emozioni, si fissi nel vissuto delle persone. Un’esperienza partecipata mette in relazione emozioni ed idee che diventano proprietà comune.

Le guerre possono essere pensate quali rivoluzioni, indotte dal desiderio di auto determinazione, ponti con i quali le masse attraversano le differenze sociali. Il riscatto dei diritti, giustifica il sacrificio; è il prezzo della libertà di poter scegliere. L’immagine stessa del nemico è trasfigurata dall’idea che anch’esso abbia lottato per gli stessi diritti, anelando una pace tra pari. Quando, davanti ai monumenti, si ascoltano le retoriche di turno, del tipo: “i nemici di allora, gli amici di adesso”, il pensiero inciampa e una volta a terra, fa fatica a rimettersi in piedi nel tentativo di giustificare una storia comune con l’avversario di allora. Parallelamente ci si rende conto che le gesta dei propri eroi, sono, per altri, atti di prepotenza che si perpetuano nel ricordo. Altra cosa è è la lotta per i diritti umani, la storia che hanno in comune tutti i popoli che e che potrebbe essere la chiave di lettura per condividere la memoria anche con i forestieri. Nell’era della globalizzazione, dovrebbe essere chiaro che bisognerebbe cercare i punti di contatto tra i popoli, mantenendo le differenze, non le distanze.